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Race Traitor: la retrospettiva di Adrian Piper al PAC di Milano

Adrian Piper, Safe, 1990
Installazione, tecnica mista
Quattro stampe alla gelatina d’argento con testo
serigrafato montate su anima di schiuma, traccia
sonora.
106,6 x 76,9 cm; 99,8 x 62,6 cm; 77,3 x 63,4 cm;
112,7 x 99 cm; audio CD 7’32”.
Credito foto: Ebony; Ebony/General Fords Corp;
Parsons School of Design; AT&T/ NYT
Dettaglio: stampa alla gelatina d’argento #1 di 4
Collection of Tate Gallery, London
© Adrian Piper Research Archive (APRA)
Foundation Berlin
Foto: Andrej Glusgold
Adrian Piper, Safe, 1990
© Adrian Piper Research Archive (APRA) Foundation Berlin Foto: Andrej Glusgold

Dal 19 marzo al 9 giugno il PAC di Milano presenta Race Traitor, la prima retrospettiva europea dopo oltre vent’anni dedicata all’artista Adrian Piper.

La mostra, che ripercorre oltre sessant’anni di carriera dell’artista, è tra gli eventi principali della Milano Art Week (8 – 14 aprile 2024) ed è accompagnata da un public program che comprende visite guidate gratuite, laboratori e talk.

Adrian Piper al PAC

“Race Traitor” esplora la carriera di Adrian Piper, artista concettuale e performer, attraverso oltre sessant’anni di lavoro. La mostra, con prestiti internazionali da musei come il MoMA e il Guggenheim di New York, espone oltre cento opere.Come artista concettuale, minimalista e performer nella scena newyorkese degli anni Sessanta, Piper solleva domande scomode sulla politica, l’identità razziale e di genere, incoraggiando il confronto con la verità su sé stessi e sulla società.

PAC Milano - Adrian Piper RACE TRAITOR - photo Nico Covre - Vulcano Agency 
Veduta della mostra: PAC Milano – Adrian Piper RACE TRAITOR
photo: Nico Covre – Vulcano Agency

Il percorso espositivo

Le prime sale

La sala 1 presenta i suoi primi lavori dagli anni ’60, caratterizzati da disegni e opere pittoriche che esplorano la profondità oltre la superficie. Queste opere, influenzate dalla cultura vedica e dalla controcultura degli anni ’60, mostrano un tentativo di ricerca filosofica e spirituale attraverso la meditazione e lo yoga. La serie Drawings about Paper and Writings about Words del 1967 riflette sulla concretezza fisica della pagina, introducendo elementi geometrici e concettuali. La performance diventa centrale nella ricerca di Piper, come dimostra Concrete Infinity Documentation Piece del 1970 e Food for the Spirit del 1971, che esplorano la natura evanescente dell’identità dell’artista attraverso autoscatti fotografici.

Tra la sala 1 e 2, Piper si concentra sulle discriminazioni razziali e di genere, con opere come Close to Home e Cornered del 1989, che sfidano lo spettatore a esaminare le proprie convinzioni e percezioni identitarie. L’installazione Art for the Art World Surface Pattern del 1976, con immagini di atrocità mondiali, riflette la consapevolezza politica di Piper e critica l’indifferenza del mondo dell’arte verso tali eventi.

La transizione tra la sala 2 e la sala 3 della mostra di Adrian Piper rivela un periodo iniziale concentrato sulla ricerca concettuale. Opere come Sixteen Permutations of a Planar Analysis of a Square del 1968 e Concrete Infinity 6 inch Square esplorano la relazione tra forme geometriche e possibilità di permutazione, mentre Utah-Manhattan Transfer sovrappone mappe per esaminare il contesto militare. Here and Now del 1968 utilizza la griglia per descrivere posizioni precise in un foglio di lavoro.

Il cuore della mostra

Nella sala 3 si trova l’opera più recente, Das Ding-an-sich bin ich del 2018, un’installazione che richiama il noumeno kantiano e riflette la filosofia dell’artista. Con forme geometriche e voci in diverse lingue, l’opera coinvolge il visitatore, esplorando concetti di percezione e realtà. Tra la sala 3 e la sala 4, Piper esplora il proprio ruolo nella società attraverso opere come Political Self-Portraits, che esplorano temi di genere, razza e classe.

Nella sala 4, Piper affronta il caso di Anita Hill e la malattia della madre, esplorando temi di razzismo e sessismo attraverso opere come Decide Who You Are del 1992. La mostra 1965–1975: Reconsidering the Object of Art del 1995 evidenzia il rifiuto di Piper nei confronti del finanziamento da parte di Philip Morris, sostituendo il suo lavoro con Ashes to Ashes, un’opera dedicata alla madre.

Infine, tra la sala 4 e la sala 5, gli autoritratti di Piper e l’opera Race Traitor del 2018 riflettono sull’identità e l’auto-rappresentazione, mettendo in discussione le percezioni tradizionali legate alla razza e all’identità.

La sala 5 della mostra di Adrian Piper presenta una serie di opere che esplorano temi sociali e identitari. In What It’s Like, What It Is #3, l’artista presenta un ambiente minimalista che ricorda un museo, con un video di un afroamericano in una scatola al centro, che sfida gli stereotipi sulla sua identità. La serie Ur-Mutter del 1989 mette in relazione immagini di povertà africana con il consumismo americano, mentre Pretend del 1990 mostra volti afroamericani e brutalità poliziesche per costringere gli spettatori a confrontarsi con ingiustizie ben note. Why Guess? del 1989 utilizza immagini dei giornali per sfidare supposizioni preconcette. Black Box / White Box del 1992 esplora il caso di Rodney King.

Adrian Piper, What It’s Like, What It Is
#3, 1991
Installazione video
Video con voce e traccia audio,
ambiente costruito in legno, quattro
monitor, specchi e luci
Dimensioni variabili
Collezione Museum of Modern Art,
New York Acquisito in parte grazie

alla generosità di Lonti Ebers, Marie-
Josée and Henry Kravis, Candace King

Weir, and Lévy Gorvy Gallery, e con il
supporto di The Modern Women’s Fund
© Adrian Piper Research Archive
(APRA) Foundation Berlin
Foto: David Campos, Installation view
di Adrian Piper: desde 1965, Museu
d’Art Contemporani de Barcelona, 17
ottobre, 2003– 18 gennaio, 2004.
Adrian Piper, What It’s Like, What It Is 3, 1991 – Installazione video
© Adrian Piper Research Archive (APRA) Foundation Berlin
Foto: David Campos, Installation view di Adrian Piper: 1965, Museu d’Art Contemporani de Barcelona, 17 ottobre, 2003– 18 gennaio, 2004.

Opere ambientali e performance

Nella Balconata, la performance Some Reflected Surfaces del 1975 evidenzia l’importanza della danza nella ricerca artistica di Piper, introducendo il suo alter ego transgender The Mythic Being. Questo personaggio, nato nel 1973, esplora identità e percezioni attraverso fotografie, testi e performance. La serie Vanilla Nightmares del 1986-1989 interviene sul New York Times con disegni che esplorano le paure e le fantasie della società americana nei confronti degli afroamericani, evidenziando il razzismo implicito nei media.

La Galleria presenta diverse opere significative. What It’s Like, What It Is #1 del 1990 crea un ambiente totalmente nero dove il visitatore sembra essere osservato attraverso finestre fittizie,. mentre una giovane donna afroamericana racconta esperienze di discriminazione. Everything è una serie iniziata nel 2003 che riflette sulla perdita delle illusioni di Piper sulla società americana. Safe 1-4 del 1990 accerchia il visitatore con immagini della presenza delle persone di colore nella società, mentre un audio combina commenti di disappunto con un’aria da cantata di Bach.

Nella Project Room – Performance, vengono esaminate le prime performance di Piper. It’s Just Art del 1980 documenta una performance in cui Piper, nell’alter ego transgender The Mythic Being,. fissa davanti a sé mentre i suoi pensieri vengono espressi in nuvolette fumettistiche, montate con immagini di rifugiati cambogiani e atrocità degli Khmer Rossi. Funk Lessons, una performance collaborativa messa in scena dal 1983 al 1985,. introduce i partecipanti alla musica funk e alla sua importanza nella cultura afroamericana e americana.

Adrian Piper, Everything #2.8, 2003 Fotografia fotocopiata su carta millimetrata, levigata con carta vetrata, sovrastampata con testo a getto d’inchiostro 21,6 x 27,9 cm Collezione privata © Adrian Piper Research Archive (APRA) Foundation Berlin
Adrian Piper, Everything #2.8, 2003
Collezione privata © Adrian Piper Research Archive (APRA) Foundation Berlin

Adrian Piper, tra arte e filosofia

Adrian Margaret Smith Piper, nata nel 1948 a New York, è una pioniera dell’arte concettuale e una filosofa analitica. Ha iniziato a esporre le sue opere a livello internazionale a vent’anni, laureandosi alla School of Visual Arts nel 1969. Ha continuato a produrre e esporre opere mentre conseguiva una laurea in Filosofia presso il City College di New York nel 1974 e un dottorato ad Harvard nel 1981.

Le sue opere sono presenti nelle collezioni di importanti musei come il MoMA e il Centre Pompidou. Nel 2018, il suo settimo retrospettiva itinerante, “Adrian Piper: A Synthesis of Intuitions 1965-2016”,. ospitata dal MoMA di New York, è stata definita “la mostra più importante dell’anno” da ArtNews. Piper ha pubblicato saggi sull’arte e sulla teoria dell’arte ed è stata premiata anche per il suo lavoro filosofico, ricevendo borse di studio e riconoscimenti per le sue pubblicazioni.

Ha insegnato filosofia in diverse università e nel 1987 è diventata la prima donna afroamericana professore di filosofia presso Georgetown. Nel 2011 le è stato conferito il titolo di Professore Emerito dalla American Philosophical Association. Ha pubblicato opere filosofiche sulla metaetica, su Kant e sulla storia dell’etica.

Dal 2005 vive e lavora a Berlino, dove gestisce la APRA Foundation Berlin e cura The Berlin Journal of Philosophy.

Attraverso gli occhi di Adrian Piper: razzismo, identità e cultura afroamericana

Le opere di Piper spaziano tra media tradizionali e non convenzionali,. esplorando la natura del soggetto, i limiti del sé e le dinamiche dell’identità individuale in contesti metafisici, sociali e politici. Ha introdotto contenuti politici nel Minimalismo negli anni ’60 e affrontato tematiche di razza e genere nell’arte concettuale negli anni ’70.

Le opere di Piper riflettono sulle tensioni sociali e sulle dinamiche di potere,. spingendo gli spettatori a confrontarsi con le proprie pregiudiziali e a considerare la complessità delle identità individuali e collettive. Utilizzando una varietà di mezzi espressivi, dall’installazione alla performance,. Piper sfida le convenzioni artistiche e sociali, invitando il pubblico a riflettere criticamente sulle strutture di potere e sulle ingiustizie presenti nella società contemporanea.

INFORMAZIONI UTILI

DATE: Dal 19 marzo al 9 giugno 2024

LUOGO: PAC Padiglione d’Arte Contemporanea

INDIRIZZO: Milano, Via Palestro 14

ORARI: Da martedì a domenica 10—19:30
Giovedì 10—22:30
Chiuso lunedì

BIGLIETTI: Biglietto intero: 8 euro / ridotto 4,50 – 6 euro

TELEFONO: +39 02 8844635

E-MAIL: info@pacmilano.it

SITO UFFICIALE: PAC Milano

Fonti

PAC Milano

Adrian Piper Research Archive Foundation Berlin

di Eleonora Interliggi

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